Com'è che la cosa meno originale che sappiamo dirci tuttavia la sola cosa che desideriamo sentire? "Ti amo" è sempre una citazione. Non sei stata tu a dirlo per la prima volta e nemmeno io, eppure, quando lo dico tu e quando lo dico io, siamo come dei selvaggi che hanno scoperto due parole e le venerano.
Chissà perché gli umani hanno bisogno di risposte! Forse perché senza una risposta, una qualsiasi, la domanda stessa subito sembra sciocca.
Non può andare sempre come piace a me, i rapporti si fondano su dei compromessi.
Qualche volta siamo noi stessi i nostri migliori amici.
Non si regala mai il proprio cuore, lo si presta di tanto in tanto. Se non fosse così, come potremmo riprendercelo senza chiederlo?
Se hai dei dubbi, mangia. Posso capire perché, per alcune persone, il miglior assistente sociale è il frigorifero.
L'energia non si perde, si trasforma. Dove vanno le parole?
Quando in dubbio, scegli la sincerità. è uno dei miei trucchi.
"Le cose sono cambiate", che frase del cazzo, io ho cambiato le cose. Le cose non cambiano, non sono come le stagioni che passano, giorno dopo giorno. La gente cambia le cose. Si è vittime del cambiamento, non delle cose.
Ma sia le molecole sia gli esseri umani sono solo una parte di ciò che esiste in un universo di possibilità. Ci tocchiamo l'uno con l'altro, creiamo legami e li spezziamo, scivoliamo via in campi di forza che non comprendiamo.
Scritto sul corpo c'è un codice segreto, visibile solo in certe condizioni di luce; quello che si è accumulato nel corso della vita si ritrova lì. In certe parti il palinsesto è inciso con forza tale che le lettere si possono sentire al tatto, come se fosse scritto in braille. Preferisco tenere il mio corpo ripiegato, al riparo da occhi indiscreti. Mai aprirsi troppo, svelare tutta la storia.
Il fato è un concetto inquietante. Non voglio essere in balia del fato, voglio scegliere.
Perché la mente è incapace di decidere da sola l'argomento dei suoi pensieri? Perché quando vogliamo disperatamente pensare a una cosa, invariabilmente pensiamo a un'altra?
Parlavamo continuamente, di tutto tranne che di noi. Eravamo in un mondo Virtuale nel quale l'unico
tabù era la vita reale.
Al mattino, quando è molto presto, le ore hanno una qualità diversa, si dilatano, cariche di promesse.
"Ti passerà..." Sono i cliché che creano problemi. Perdere qualcuno che ami significa la vita che cambia per sempre. Non ci si passa sopra, perché si tratta della persona che hai sempre amato. Il dolore finisce, ci saranno altre persone, ma il vuoto non viene mai colmato. Come potrebbe? L'unicità di qualcuno che è stato così importante che lo rimpiangiamo non viene annullata dalla morte. Il buco che ho nel cuore ha la tua forma, e nessun altro può colmarla del tutto. Perché dovrei desiderare che lo faccia?
Non c'è niente di peggio che stare in un posto affollato quando si è soli.
Grandi quantità d'acqua non possono dissetare l'amore, nè possono sommergerlo le inondazioni. Allora, cos'è che uccide l'amore? Soltanto la disattenzione. Non vederti quando mi stai davanti. Non pensare a te nelle piccole cose. Non spianarti la strada, non prepararti la tavola. Sceglierti per abitudine e non per desiderio, passare davanti al fioraio senza accorgermene. Lasciare i piatti da lavare, il letto da rifare, ignorarti al mattino, usarti la notte. Desiderar un'altra persona mentre ti bacio sulla guancia. Dire il tuo nome senza ascoltarlo, dare per scontato che sia mio diritto pronunciarlo.
a-margine
domenica 26 dicembre 2010
lunedì 8 novembre 2010
Virginia Woolf, La signora Dalloway
Negli occhi della gente, nel loro andamento lento, faticoso, nel chiasso e nel frastuono, le carrozze, le automobili, i tram, i furgoni, gli uomini-sandwich che vanno avanti e indietro col loro passo strascicato e ondeggiante, le bande e gli organetti; nel trionfo e nel tripudio e nel canto stranamente acuto di un aereo, ciò che amava era: la vita, Londra, quell'attimo di giugno.
Come le piaceva - che la gente dimostrasse di gradire la sua presenza, pensò Clarissa, e si volse e tornò indietro verso Bond Street, seccata perché era sciocco avere dei secondi motivi nel fare le cose. Piuttosto avrebbe preferito essere come Richard che faceva le cose per le cose stesse, mentre, pensò, aspettando di attraversare la strada, per metà del tempo lei non faceva le cose semplicemente per le cose stesse, ma perché la gente pensasse questo o quello; perfetta idiozia lo sapeva (ora il vigile aveva alzato la mano), perché nessuno ci cadeva nemmeno un attimo. Oh! se avesse potuto ricominciare a vivere daccapo! pensò, salendo sul marciapiede, come sarebbe stata diversa!
Quanti milioni di volte aveva visto il proprio volto, e sempre con la stessa impercettibile contrazione! Increspava le labbra quando si guardava allo specchio. Era per dare un'espressione al volto. Quella era lei - tesa, acuta, precisa. Era lei quando un qualche sforzo, un richiamo ad essere se stessa la obbligava a costringere tutte insieme le sue parti, lei sola sapeva quanto diverse, quanto incompatibili tra loro e soltanto per il mondo così ricomposte intorno a un centro, un diamante, una donna che, seduta in salotto, costituiva un punto fermo, un centro di luce, non c'è dubbio, per alcune vite, un rifugio in cui rifugiarsi per i solitari, forse. Aveva contato per dei giovani, che le erano grati, aveva cercato di essere sempre la stessa, senza mai mostrare neppure un segno di tutti gli altri suoi aspetto - i difetti, le gelosie, le vanità, i sospetti, come adesso per il fatto che Lady Bruton non l'avesse invitata a pranzo; era davvero volgare, pensò (pettinandosi i capelli)! Ma dov'era il vestito?
Poi, come succede su un terrazzo al chiaro di luna, quando si comincia a sentire una certa vergogna di annoiarsi, ma siccome l'altro sta seduto in silenzio, in perfetto silenzio, e guarda triste la luna, uno non se la sente di parlare, allora muove un piede, si schiarisce la gola, osserva un certo ghirigoro di ferro sulla gamba del tavolo, gioca con una foglia, ma non dice nulla. Così ora faceva Peter Walsh. Perché rimandare al passato? pensò. Perché farlo soffrire ancora, dopo che l'aveva torturato in quel modo infernale? Perché?
Beh, mi sono divertito, sì, mi sono proprio divertito, pensò, alzando lo sguardo ai vasi da cui penzolavano dei pallidi gerani. S'era ridotto a brandelli - il suo divertimento, perché se l'era inventato, lo sapeva bene; s'era inventato l'avventura con la ragazza; se l'era immaginata, come ci si immagina la parte migliore della vita, pensò - noi stessi, la nostra vita. E così facendo ci creiamo un divertimento squisito, forse anche qualcosa di più. Ma restava il fatto che era proprio strano, anche se vero, quel piacere che non si poteva condividere con nessuno, si rompeva in mille pezzi.
Bene, facesse pure - l'unica consolazione della vecchiaia, pensò Peter Walsh, uscendo da Regent's Park, col cappello in mano, era proprio questa: le passioni restano forti come sempre, ma almeno si guadagna - alla fine! - quella capacità che dà all'esistenza il suo gusto supremo - la capacità di tenere l'esperienza nelle proprie mani, e di volgerla, con una lenta rotazione, verso la luce.
L'infelicità era un sogno sciocco, stupido.
C'è una dignità nelle persone, una solitudine; perfino tra marito e moglie c'è un abisso di distanza, che bisognava rispettare, pensò Clarissa, guardandolo mentre apriva la porta, perché a perderla, o a toglierla, contro la sua volontà, a nostro marito, perderemmo la nostra indipendenza, il rispetto di noi stessi - qualcosa che è, dopotutto, senza prezzo.
Perché le nuvole, anche se erano d'un bianco di neve che si poteva immaginare di prendere un'accetta e tagliarne via qualche scheggia, con dei pendii dorati e sui fianchi dei campi e dei giardini di gioia celestiale, che avevano tutta l'aria di stabili dimore allestite per un consesso degli dei al di sopra del mondo, c'era tuttavia tra di esse un perpetuo movimento. Si scambiavano segnali quando, come per adempiere a uno schema già preordinato, ora una cima si rimpiccioliva, ora un intero blocco, grande come una piramide, che era stato fermo immobile al suo posto, avanzava verso il centro o solennemente conduceva la processione a un nuovo ancoraggio. Per quanto sembrassero fisse al loro posto, in perfetto unanime riposo, non c'era niente di più libero, più fresco, più sensibile, almeno in superficie, di quelle masse di superfici bianco-neve o accese d'oro; da un momento all'altro quel maestoso insieme poteva trasformarsi, spostarsi, disfarsi. E a dispetto della greve fissità, del pesante accumulo, e della solidità, colpivano la terra con sprazzi ora di luce, ora d'ombra.
Clarissa aveva una teoria a quei tempi - di teorie ne avevano a montagne allora, come sempre accade ai giovani. Era per spiegare lo scontento che provavano, non conoscevano nessuno, non erano conosciuti. Perché come si fa a conoscersi? Ci si incontra tutti i giorni, poi non più per mesi, per anni. Quanto poco si conosce la gente; era, concordavano tutti, davvero sconsolante. ma lei, sull'autobus che risaliva Shaftesbury Avenue, diceva che si sentiva dovunque, non "qui, qui, qui" e picchiava lo schienale del sedile, sì, dovunque. E agitava le mani, andando per Shaftesbury Avenue. Lei era tutte quelle cose. così, per conoscere lei, come del resto per conoscere chiunque, bisognava scovare le persone, perfino i luoghi, che ci completano. Provava una strana affinità con la gente con cui non aveva mai parlato, una donna per la strada, un uomo dietro a un banco - persino con gli alberi, coi granai. E tutto sfociava in una teoria trascendentale che, visto l'orrore che aveva della morte, la induceva a credere o a dire che credeva (malgrado il suo scetticismo), che poiché le nostre apparizioni, o la parte che di noi appare, sono così effimere paragonate all'altra parte la parte invisibile di noi, che si espande immensa, l'invisibile può benissimo sopravvivere, si può recuperare attaccato addosso a una persona qualsiasi, o magari a certi luoghi, dopo la morte... forse - forse.
Non capiva mai che cosa pensava davvero la gente.
Perché prendere sempre, e non dare mai? Perché non rischiare il proprio modesto punto di vista?
Che cosa conta l'assenza, la distanza?
Perché alla fine era arrivata a pensare che quello che si sente è l'unica cosa che valeva la pena di dire. L'intelligenza era una sciocchezza. Si deve dire soltanto ciò che si sente.
Come le piaceva - che la gente dimostrasse di gradire la sua presenza, pensò Clarissa, e si volse e tornò indietro verso Bond Street, seccata perché era sciocco avere dei secondi motivi nel fare le cose. Piuttosto avrebbe preferito essere come Richard che faceva le cose per le cose stesse, mentre, pensò, aspettando di attraversare la strada, per metà del tempo lei non faceva le cose semplicemente per le cose stesse, ma perché la gente pensasse questo o quello; perfetta idiozia lo sapeva (ora il vigile aveva alzato la mano), perché nessuno ci cadeva nemmeno un attimo. Oh! se avesse potuto ricominciare a vivere daccapo! pensò, salendo sul marciapiede, come sarebbe stata diversa!
Quanti milioni di volte aveva visto il proprio volto, e sempre con la stessa impercettibile contrazione! Increspava le labbra quando si guardava allo specchio. Era per dare un'espressione al volto. Quella era lei - tesa, acuta, precisa. Era lei quando un qualche sforzo, un richiamo ad essere se stessa la obbligava a costringere tutte insieme le sue parti, lei sola sapeva quanto diverse, quanto incompatibili tra loro e soltanto per il mondo così ricomposte intorno a un centro, un diamante, una donna che, seduta in salotto, costituiva un punto fermo, un centro di luce, non c'è dubbio, per alcune vite, un rifugio in cui rifugiarsi per i solitari, forse. Aveva contato per dei giovani, che le erano grati, aveva cercato di essere sempre la stessa, senza mai mostrare neppure un segno di tutti gli altri suoi aspetto - i difetti, le gelosie, le vanità, i sospetti, come adesso per il fatto che Lady Bruton non l'avesse invitata a pranzo; era davvero volgare, pensò (pettinandosi i capelli)! Ma dov'era il vestito?
Poi, come succede su un terrazzo al chiaro di luna, quando si comincia a sentire una certa vergogna di annoiarsi, ma siccome l'altro sta seduto in silenzio, in perfetto silenzio, e guarda triste la luna, uno non se la sente di parlare, allora muove un piede, si schiarisce la gola, osserva un certo ghirigoro di ferro sulla gamba del tavolo, gioca con una foglia, ma non dice nulla. Così ora faceva Peter Walsh. Perché rimandare al passato? pensò. Perché farlo soffrire ancora, dopo che l'aveva torturato in quel modo infernale? Perché?
Beh, mi sono divertito, sì, mi sono proprio divertito, pensò, alzando lo sguardo ai vasi da cui penzolavano dei pallidi gerani. S'era ridotto a brandelli - il suo divertimento, perché se l'era inventato, lo sapeva bene; s'era inventato l'avventura con la ragazza; se l'era immaginata, come ci si immagina la parte migliore della vita, pensò - noi stessi, la nostra vita. E così facendo ci creiamo un divertimento squisito, forse anche qualcosa di più. Ma restava il fatto che era proprio strano, anche se vero, quel piacere che non si poteva condividere con nessuno, si rompeva in mille pezzi.
Bene, facesse pure - l'unica consolazione della vecchiaia, pensò Peter Walsh, uscendo da Regent's Park, col cappello in mano, era proprio questa: le passioni restano forti come sempre, ma almeno si guadagna - alla fine! - quella capacità che dà all'esistenza il suo gusto supremo - la capacità di tenere l'esperienza nelle proprie mani, e di volgerla, con una lenta rotazione, verso la luce.
L'infelicità era un sogno sciocco, stupido.
C'è una dignità nelle persone, una solitudine; perfino tra marito e moglie c'è un abisso di distanza, che bisognava rispettare, pensò Clarissa, guardandolo mentre apriva la porta, perché a perderla, o a toglierla, contro la sua volontà, a nostro marito, perderemmo la nostra indipendenza, il rispetto di noi stessi - qualcosa che è, dopotutto, senza prezzo.
Perché le nuvole, anche se erano d'un bianco di neve che si poteva immaginare di prendere un'accetta e tagliarne via qualche scheggia, con dei pendii dorati e sui fianchi dei campi e dei giardini di gioia celestiale, che avevano tutta l'aria di stabili dimore allestite per un consesso degli dei al di sopra del mondo, c'era tuttavia tra di esse un perpetuo movimento. Si scambiavano segnali quando, come per adempiere a uno schema già preordinato, ora una cima si rimpiccioliva, ora un intero blocco, grande come una piramide, che era stato fermo immobile al suo posto, avanzava verso il centro o solennemente conduceva la processione a un nuovo ancoraggio. Per quanto sembrassero fisse al loro posto, in perfetto unanime riposo, non c'era niente di più libero, più fresco, più sensibile, almeno in superficie, di quelle masse di superfici bianco-neve o accese d'oro; da un momento all'altro quel maestoso insieme poteva trasformarsi, spostarsi, disfarsi. E a dispetto della greve fissità, del pesante accumulo, e della solidità, colpivano la terra con sprazzi ora di luce, ora d'ombra.
Clarissa aveva una teoria a quei tempi - di teorie ne avevano a montagne allora, come sempre accade ai giovani. Era per spiegare lo scontento che provavano, non conoscevano nessuno, non erano conosciuti. Perché come si fa a conoscersi? Ci si incontra tutti i giorni, poi non più per mesi, per anni. Quanto poco si conosce la gente; era, concordavano tutti, davvero sconsolante. ma lei, sull'autobus che risaliva Shaftesbury Avenue, diceva che si sentiva dovunque, non "qui, qui, qui" e picchiava lo schienale del sedile, sì, dovunque. E agitava le mani, andando per Shaftesbury Avenue. Lei era tutte quelle cose. così, per conoscere lei, come del resto per conoscere chiunque, bisognava scovare le persone, perfino i luoghi, che ci completano. Provava una strana affinità con la gente con cui non aveva mai parlato, una donna per la strada, un uomo dietro a un banco - persino con gli alberi, coi granai. E tutto sfociava in una teoria trascendentale che, visto l'orrore che aveva della morte, la induceva a credere o a dire che credeva (malgrado il suo scetticismo), che poiché le nostre apparizioni, o la parte che di noi appare, sono così effimere paragonate all'altra parte la parte invisibile di noi, che si espande immensa, l'invisibile può benissimo sopravvivere, si può recuperare attaccato addosso a una persona qualsiasi, o magari a certi luoghi, dopo la morte... forse - forse.
Non capiva mai che cosa pensava davvero la gente.
Perché prendere sempre, e non dare mai? Perché non rischiare il proprio modesto punto di vista?
Che cosa conta l'assenza, la distanza?
Perché alla fine era arrivata a pensare che quello che si sente è l'unica cosa che valeva la pena di dire. L'intelligenza era una sciocchezza. Si deve dire soltanto ciò che si sente.
venerdì 29 ottobre 2010
ooops!
OOOps si vede che non sono ancora tecnologicamente avanzata... mi sono sbagliata, è impossibile che voialtri riusciate a postare le vostre frasi preferite, perché è un blog e ci posso scrivere solo io... Per tutti coloro che volessero condividere le proprie frasi preferite, ho attivato un FORUM, ecco il link http://a-margine.forumfree.it/
collegatevi e postate lì tutto quello che volete! La grafica è un po' bruttina, ma prometto che mi impegnerò a capire qualcosa di linguaggio html per renderla un po' più carina!
a presto!
collegatevi e postate lì tutto quello che volete! La grafica è un po' bruttina, ma prometto che mi impegnerò a capire qualcosa di linguaggio html per renderla un po' più carina!
a presto!
mercoledì 27 ottobre 2010
Georges Simenon, La finestra dei Rouet
Forse gli uomini non pensano che l'inizio del giorno è misterioso quanto il crepuscolo, che ha in sé sospesa la stessa parte di eternità. Non si ride fragorosamente, di un riso volgare, nella freschezza tutta nuova dell'aurora, più di quanto non lo si faccia nell'attimo in cui ci sfiora il primo alito della notte. Siamo più seri, proviamo l'impercettibile angoscia dell'essere umano davanti all'universo, perché la strada non è ancora la solida strada rassicurante, ma un pezzo di quel gran tutto in cui si muove l'astro che mette pennacchi di luce sugli angoli aguzzi dei tetti.
"I minuti che trascorrevi al bar, le ore che trascorrevi all'Hotel de Montmorency bastavano a ripagarti di tutto. li protraevi. Prolungavi il contatto di un'altra pelle con la tua, e di sera, da sola nel letto, cercavi ancora nel tuo odore la traccia di quello di lui..."
"I minuti che trascorrevi al bar, le ore che trascorrevi all'Hotel de Montmorency bastavano a ripagarti di tutto. li protraevi. Prolungavi il contatto di un'altra pelle con la tua, e di sera, da sola nel letto, cercavi ancora nel tuo odore la traccia di quello di lui..."
domenica 24 ottobre 2010
Alessandro Baricco, Senza sangue
Per quanto uno si sforzi di vivere una sola vita, gli altri ce ne vedranno dentro altre mille, e questa è la ragione per cui non si riesce a evitare di farsi del male.
Italo Calvino, Le città invisibili
A questo punto Kublai Kan l'interrompeva o immaginava d'interromperlo, o Marco Polo immaginava d'essere interrotto, con una domanda come: - Avanzi col capo voltato sempre all'indietro? - oppure: - Ciò che vedi è sempre alle tue spalle? - o meglio: - Il tuo viaggio si svolge solo nel passato?
Tutto perché Marco Polo potesse spiegare o immaginare di spiegare o essere immaginato spiegare o riuscire finalmente a spiegare a se stesso che quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé, e anche se si trattava del passato era un passato che cambiava man mano egli avanzava nel suo viaggio, perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell'itinerario compiuto, non diciamo il passato prossimo cui ogni giorno che passa aggiunge un giorno, ma il passato più remoto. Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d'avere: l'estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t'aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell'uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell'uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un'altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.
- Viaggi per rivivere il tuo passato? - era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: - Viaggi per ritrovare il tuo futuro?
E la risposta di Marco: - L'altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e che non avrà.
Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane.
Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano...
- Io parlo parlo, - dice Marco, - ma chi m'ascolta ritiene solo le parole che aspetta. altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi fatto prigioniero da pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella con uno scrivano di romanzi d'avventura. Chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio.
Succede pure che, rasentando i compatti muri di Marozia, quando meno t'aspetti vedi aprirsi uno spiraglio e apparire una città diversa, che dopo un istante è già sparita. Forse tutto sta a sapere quale parole pronunciare, quali gesti compiere, e in quale ordine e ritmo, oppure basta lo sguardo la risposta il cenno di qualcuno, basta che qualcuno faccia qualcosa per il solo piacere di farla, e perché il suo piacere diventi il piacere altrui: in quel momento tutti gli spazi cambiano, le altezze, le distanze, la città si trasfigura, diventa cristallina, trasparente come una libellula. ma bisogna che tutto capiti come per caso, senza dargli troppa importanza, senza la pretesa di star compiendo una operazione decisiva, tenendo ben presente che da un momento all'altro la Marozia di prima tornerà a saldare il suo soffitto di pietra ragnatele e muffa sulle teste.
Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s'appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l'ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d'estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.
Eppure, a Raissa, a ogni momento c'è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall'alto dell'impalcatura ha esclamato: - Gioia mia, lasciami intingere! - a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all'ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d'un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l'ultima siepe, felice lui ma più felice il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice d'averlo dipinto piuma per piuma picchettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina di libro in cui il filosofo dice: "Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d'esistere".
John Fante, Chiedi alla polvere
Quindi, se appena potete, procuratevi una polo, ragazzi, e un paio di occhiali, e delle scarpe bianche. Mettetevi l'uniforme. Vi aprirà tutte le porte. E anche voi, che ora siete a casa, fra qualche tempo e dopo congrue dosi del "Times" e dell'"Examiner", finirete per prendere il volo alla volta del Sud assolato. Mangerete hamburger, un giorno dopo l'altro, e andrete ad abitare in appartamenti e alberghi polverosi, brulicanti di insetti, ma ogni mattina, svegliandovi, potrete ammirare lo splendore del sole e l'azzurro eterno del cielo. Le strade pulluleranno di creature raffinate che non possiederete mai e le calde notti semitropicali vi parleranno di avventure romantiche da cui voi sarete esclusi, ma vi sentirete ugualmente in paradiso, ragazzi, laggiù nella terra del sole.
A quelli che sono rimasti a casa potrete sempre mentire, tanto non amano la verità, non vogliono conoscerla, preferiscono credere che, prima o poi, anch'essi vi raggiungeranno in paradiso. Non pensate di imbrogliarli. Sanno benissimo com'è il Sud della California. Anche loro leggono i giornali e guardano riviste illustrate di cui sono tappezzate tutte le edicole di tutt'America. Le foto delle case delle dive le hanno viste anche loro. Non hanno più niente da imparare.
Ma riflettere non mi aiutava. Ragionando, sarei forse riuscito a convincere la mia mente, ma non il mio sangue, ed era il mio sangue che mi teneva in vita, era il mio sangue che mi scorreva dentro, dicendomi che avevo sbagliato.
A quelli che sono rimasti a casa potrete sempre mentire, tanto non amano la verità, non vogliono conoscerla, preferiscono credere che, prima o poi, anch'essi vi raggiungeranno in paradiso. Non pensate di imbrogliarli. Sanno benissimo com'è il Sud della California. Anche loro leggono i giornali e guardano riviste illustrate di cui sono tappezzate tutte le edicole di tutt'America. Le foto delle case delle dive le hanno viste anche loro. Non hanno più niente da imparare.
Ma riflettere non mi aiutava. Ragionando, sarei forse riuscito a convincere la mia mente, ma non il mio sangue, ed era il mio sangue che mi teneva in vita, era il mio sangue che mi scorreva dentro, dicendomi che avevo sbagliato.
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