Negli occhi della gente, nel loro andamento lento, faticoso, nel chiasso e nel frastuono, le carrozze, le automobili, i tram, i furgoni, gli uomini-sandwich che vanno avanti e indietro col loro passo strascicato e ondeggiante, le bande e gli organetti; nel trionfo e nel tripudio e nel canto stranamente acuto di un aereo, ciò che amava era: la vita, Londra, quell'attimo di giugno.
Come le piaceva - che la gente dimostrasse di gradire la sua presenza, pensò Clarissa, e si volse e tornò indietro verso Bond Street, seccata perché era sciocco avere dei secondi motivi nel fare le cose. Piuttosto avrebbe preferito essere come Richard che faceva le cose per le cose stesse, mentre, pensò, aspettando di attraversare la strada, per metà del tempo lei non faceva le cose semplicemente per le cose stesse, ma perché la gente pensasse questo o quello; perfetta idiozia lo sapeva (ora il vigile aveva alzato la mano), perché nessuno ci cadeva nemmeno un attimo. Oh! se avesse potuto ricominciare a vivere daccapo! pensò, salendo sul marciapiede, come sarebbe stata diversa!
Quanti milioni di volte aveva visto il proprio volto, e sempre con la stessa impercettibile contrazione! Increspava le labbra quando si guardava allo specchio. Era per dare un'espressione al volto. Quella era lei - tesa, acuta, precisa. Era lei quando un qualche sforzo, un richiamo ad essere se stessa la obbligava a costringere tutte insieme le sue parti, lei sola sapeva quanto diverse, quanto incompatibili tra loro e soltanto per il mondo così ricomposte intorno a un centro, un diamante, una donna che, seduta in salotto, costituiva un punto fermo, un centro di luce, non c'è dubbio, per alcune vite, un rifugio in cui rifugiarsi per i solitari, forse. Aveva contato per dei giovani, che le erano grati, aveva cercato di essere sempre la stessa, senza mai mostrare neppure un segno di tutti gli altri suoi aspetto - i difetti, le gelosie, le vanità, i sospetti, come adesso per il fatto che Lady Bruton non l'avesse invitata a pranzo; era davvero volgare, pensò (pettinandosi i capelli)! Ma dov'era il vestito?
Poi, come succede su un terrazzo al chiaro di luna, quando si comincia a sentire una certa vergogna di annoiarsi, ma siccome l'altro sta seduto in silenzio, in perfetto silenzio, e guarda triste la luna, uno non se la sente di parlare, allora muove un piede, si schiarisce la gola, osserva un certo ghirigoro di ferro sulla gamba del tavolo, gioca con una foglia, ma non dice nulla. Così ora faceva Peter Walsh. Perché rimandare al passato? pensò. Perché farlo soffrire ancora, dopo che l'aveva torturato in quel modo infernale? Perché?
Beh, mi sono divertito, sì, mi sono proprio divertito, pensò, alzando lo sguardo ai vasi da cui penzolavano dei pallidi gerani. S'era ridotto a brandelli - il suo divertimento, perché se l'era inventato, lo sapeva bene; s'era inventato l'avventura con la ragazza; se l'era immaginata, come ci si immagina la parte migliore della vita, pensò - noi stessi, la nostra vita. E così facendo ci creiamo un divertimento squisito, forse anche qualcosa di più. Ma restava il fatto che era proprio strano, anche se vero, quel piacere che non si poteva condividere con nessuno, si rompeva in mille pezzi.
Bene, facesse pure - l'unica consolazione della vecchiaia, pensò Peter Walsh, uscendo da Regent's Park, col cappello in mano, era proprio questa: le passioni restano forti come sempre, ma almeno si guadagna - alla fine! - quella capacità che dà all'esistenza il suo gusto supremo - la capacità di tenere l'esperienza nelle proprie mani, e di volgerla, con una lenta rotazione, verso la luce.
L'infelicità era un sogno sciocco, stupido.
C'è una dignità nelle persone, una solitudine; perfino tra marito e moglie c'è un abisso di distanza, che bisognava rispettare, pensò Clarissa, guardandolo mentre apriva la porta, perché a perderla, o a toglierla, contro la sua volontà, a nostro marito, perderemmo la nostra indipendenza, il rispetto di noi stessi - qualcosa che è, dopotutto, senza prezzo.
Perché le nuvole, anche se erano d'un bianco di neve che si poteva immaginare di prendere un'accetta e tagliarne via qualche scheggia, con dei pendii dorati e sui fianchi dei campi e dei giardini di gioia celestiale, che avevano tutta l'aria di stabili dimore allestite per un consesso degli dei al di sopra del mondo, c'era tuttavia tra di esse un perpetuo movimento. Si scambiavano segnali quando, come per adempiere a uno schema già preordinato, ora una cima si rimpiccioliva, ora un intero blocco, grande come una piramide, che era stato fermo immobile al suo posto, avanzava verso il centro o solennemente conduceva la processione a un nuovo ancoraggio. Per quanto sembrassero fisse al loro posto, in perfetto unanime riposo, non c'era niente di più libero, più fresco, più sensibile, almeno in superficie, di quelle masse di superfici bianco-neve o accese d'oro; da un momento all'altro quel maestoso insieme poteva trasformarsi, spostarsi, disfarsi. E a dispetto della greve fissità, del pesante accumulo, e della solidità, colpivano la terra con sprazzi ora di luce, ora d'ombra.
Clarissa aveva una teoria a quei tempi - di teorie ne avevano a montagne allora, come sempre accade ai giovani. Era per spiegare lo scontento che provavano, non conoscevano nessuno, non erano conosciuti. Perché come si fa a conoscersi? Ci si incontra tutti i giorni, poi non più per mesi, per anni. Quanto poco si conosce la gente; era, concordavano tutti, davvero sconsolante. ma lei, sull'autobus che risaliva Shaftesbury Avenue, diceva che si sentiva dovunque, non "qui, qui, qui" e picchiava lo schienale del sedile, sì, dovunque. E agitava le mani, andando per Shaftesbury Avenue. Lei era tutte quelle cose. così, per conoscere lei, come del resto per conoscere chiunque, bisognava scovare le persone, perfino i luoghi, che ci completano. Provava una strana affinità con la gente con cui non aveva mai parlato, una donna per la strada, un uomo dietro a un banco - persino con gli alberi, coi granai. E tutto sfociava in una teoria trascendentale che, visto l'orrore che aveva della morte, la induceva a credere o a dire che credeva (malgrado il suo scetticismo), che poiché le nostre apparizioni, o la parte che di noi appare, sono così effimere paragonate all'altra parte la parte invisibile di noi, che si espande immensa, l'invisibile può benissimo sopravvivere, si può recuperare attaccato addosso a una persona qualsiasi, o magari a certi luoghi, dopo la morte... forse - forse.
Non capiva mai che cosa pensava davvero la gente.
Perché prendere sempre, e non dare mai? Perché non rischiare il proprio modesto punto di vista?
Che cosa conta l'assenza, la distanza?
Perché alla fine era arrivata a pensare che quello che si sente è l'unica cosa che valeva la pena di dire. L'intelligenza era una sciocchezza. Si deve dire soltanto ciò che si sente.